mattbriar

BROOKS: CICLO DELLA JERLE SHANNARA

La trilogia del Viaggio della Jerle Shannara è costituita di tre romanzi: La strega di Ilse, Il labirinto, L'ultima magia. Dopo aver letto il primo romanzo trovo molto difficile evidenziarne dei tratti positivi o tanto meno esaltanti. Una storia semplice, che di per sé non è un problema, viene trattata in modo semplicistico, e questo è un grosso problema.
Il druido Walker riunisce un po' di compagni, tra Elfi e Corsari, per imbarcarsi su una nave volante diretta a tre isole sperdute, alla ricerca delle chiavi di accesso a una misteriosa città dall'altra parte dell'oceano, la quale custodisce la “magia fatta di parole”. A inseguirli, la strega di Ilse.
Nessun protagonista brillante, nuovo o che esca dalle righe: i migliori sono, al solito, il druido Walker e la strega del titolo, ma purtroppo rimangono delle scialbe riproposizioni o variazioni di personaggi già visti in altre saghe. La strega di per sé non è nemmeno molto approfondita, anzi se ne parla in pochi passaggi.
Scarne anche le ambientazioni, che non forniscono quel senso di fantasy e di magia che rendeva piacevoli altre opere di Brooks (e che mi spinge ogni tanto a leggere qualcosa di questo autore, come si può capire dalle saghe di cui ho parlato in precedenza e dal perché preferisco Brooks, almeno nella sua forma migliore, a quell'inconcludente soap-opera che è Il trono di spade di Martin). La parte finale della storia si ambienta nelle rovine di una città moderna, costituendo il punto di incontro tra il mondo di Shannara e il nostro. Anche questo momento non viene valorizzato da Brooks come meriterebbe, dato che fa del paesaggio post-apocalittico solo un tenue mascherino di sfondo.



La semplicità, come dicevo, è tollerabile in un genere schematico come il fantasy, purché la lettura sia piacevole. Il problema del romanzo è nella scrittura di Brooks: per quanto non abbia mai brillato per la sua profondità, qui tocca i minimi storici (almeno tra i suoi libri che ho letto fino a oggi). La semplicità diventa un'intollerabile superficialità. Dopo aver dedicato 250 pagine all'interazione tra i personaggi che organizzano il viaggio, risolve in poche pagine le spedizioni sulle isole, con un po' di cappa e spada contro le creature che proteggono le chiavi, narrato con la velocità di uno spot televisivo.
Sono più che d'accordo che il viaggio sia più importante della meta. Dovrei riflettere, magari, se l'assunto si possa trasformare in: la preparazione del viaggio è più importante del viaggio stesso. Ma in qualsiasi caso non posso tollerare una struttura come quella che Brooks propone qui. Un altro momento che mi è rimasto impresso per la sua assurdità è lo scontro tra la nave degli eroi e quella della strega. I cattivi perdono il controllo e di punto in bianco si schiantano contro i buoni, senza poi farne nulla, limitandosi ad andarsene. L'episodio, credo, serve solo a rivelare ai buoni la presenza dei cattivi alle loro spalle. Terry... è uno scherzo forse? Non è solo inutile, ma va a distruggere la possibilità di un climax finale, per quanto il lettore conosca il quadro completo sin dall'inizio a causa del narratore onnisciente (che non lascia proprio nulla alla suspanse).
I “misteri” che dovrebbero arricchire e rendere accattivante la storia sono frivolezze: l'appartenenza di Bek, il solito umile ragazzetto, al clan degli Ohmsford e il suo legame di sangue con la strega (sua sorella); le reali intenzioni di Walker e la natura della missione; eccetera. Solleticherebbero la curiosità di un bambino, forse, per il modo infantile in cui sono trattate. E non è tutto! A peggiorare le cose c'è la tremenda abitudine di Brooks, qui utilizzata a profusione, di raccontare anziché mostrare (!). Dovrebbe essere la prima regola di uno scrittore. Si scrive raccontando solo quando si mette mano alla penna la prima volta, dopodiché si provano gli errori sulla propria pelle, si diventa più maturi e si gusta finalmente l'ebbrezza del mettere in scena i fatti e i discorsi diretti. Il fantasy distrugge spesso questa regola e, va detto, Brooks non è uno scrittore prolisso, il che di norma gli permette questa libertà mantenendosi leggibile (al contrario di Robert Jordan e la sua Ruota del tempo, tanto per dirne uno). Ma è irritante vedere sbobinato in due pagine il passato di un personaggio che, raccontato in modo diretto attraverso i fatti salienti, magari con l'ausilio di flashback, avrebbe potuto costituire almeno un capitolo molto interessante, se non un'intera parte di libro.


Dopo una tale premessa, dedicarsi al secondo libro è stato uno sforzo di volontà motivato solo dal desiderio di completare la saga, sperando in un miglioramento. Invece... Il labirinto ha gli stessi difetti del primo, indugiando ancora di più nel raccontare vicende passate e pensieri presenti in modo indiretto, come le dodici pagine che trasformano l'idea più interessante (la storia di come un'intelligenza artificiale abbia preso possesso delle rovine della città obbedendo alle direttive degli antichi esseri umani che la avevano programmata) in una storiella trita, frivola e noiosa. A metà del romanzo ho deciso di mollare: con tutta la narrativa interessante che esiste, piena di spunti e di riflessioni, arricchita da una scrittura matura, perché devo perdere tempo a leggere un fantasy inutile, noioso e scritto male? Conto sulla punta delle dita i libri che ho abbandonato, ma in questo caso non ho potuto farne a meno (e, come un assetato nel deserto, mi sono fiondato di corsa sulle oasi di Stephen King e Philip Dick). Considerata la bassa quotazione delle saghe che mi rimangono, penso di aver chiuso con Shannara ma potrei tentare un'ultima volta Brooks con il ciclo di Landover, in futuro.
Pagella (prima metà della saga): idee alla base **½ , sviluppo * , consigliato *

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