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KING: LA ZONA MORTA (1979), DELLA VISIONE E DEL MARTIRIO


La Zona Morta (1979, pubblicato dopo Shining) mostra tutta l'intenzione di Stephen King di manifestare apertamente contro l'etichetta horror in cui era stato collocato sin dal primo romanzo, e con cui tutt'ora viene troppo spesso marchiato, e di identificarsi con una letteratura fantastica tout court il cui cuore principale è disquisire sulla condizione umana (il critico Leslie Fiedler l'ha definita la vera letteratura postmoderna).
Dopo un incidente, Johnny Smith si sveglia dal coma dotato di poteri di preveggenza e conosce il futuro delle persone semplicemente stringendo loro la mano. Questo lo mette a conoscenza di segreti a cui nessun altro è in grado di arrivare: prima l'identità del serial killer che sta terrorizzando Castle Rock, poi il terribile scenario a cui porterà la vittoria elettorale del candidato alle elezioni Greg Stillson. Ma la sua condizione lo porta anche a un isolamento totale, e alla perdita anche delle persone che un tempo gli erano più care.
Johnny Smith è uno dei personaggi-tipo dell'universo kinghiano: un martire della propria causa e del proprio potere, una figura che ricorda vagamente quella di Cristo. Uno dei “diversi” che, per prima cosa, sono costretti a far fronte alla propria diversità per colpa della quale sono emarginati. Poi scoprono di avere una missione, non perché non possano scegliere il loro destino, ma perché la abbracciano totalmente dopo che ne hanno compreso la portata e l'importanza. A differenza di Carrie, che non controllava o capiva il suo potere, in Johnny esiste l'accettazione del proprio compito.
Spesso in King il confine tra vittima e carnefice, tra il personaggio che viene usato dal potere e quello che controlla il potere, non è completamente netto. Basti pensare ai personaggi di Shining, It, L'Ombra dello Scorpione, Desperation, Insomnia, Il Miglio Verde, Cuori in Atlantide, il recente racconto N. nonché l'universo della Torre Nera.
Il potere di Johnny risiede in un passato nebuloso: c'è di mezzo un altro incidente avvenuto da bambino, ma essenzialmente viene dato per predestinato. La dimensione superiore, il deus-ex machina che tesse i fili in un modo che non ci è dato comprendere, il “divino” insomma, è una riflessione abbastanza esplicita di La zona morta. Ovviamente King porta il tutto nel contesto che conosce, quello della fede cristiana e puritana dell'americano medio.
Attorno a Johnny c'è un mondo smarrito in cerca di un perché, di una fede: per questo viene assillato dalle lettere di chi lo reputa un nuovo Cristo, implorando risposte e miracoli. King ritrae una società spiritualmente perduta, simbolicamente rappresentata dalla madre di Johnny, Vera, maniaca religiosa e tormento, più che supporto, per il figlio. Per lei Johnny deve compiere un “dovere” nel senso più biblico possibile del termine. Ma Johnny però è smarrito, non comprende né accetta la sua situazione, all'inizio, perché comporta il sacrificio totale di se stessi, la rinuncia a tutto e tutti per una responsabilità che non ha chiesto. Solo alla fine il valore del suo compito gli diviene chiaro. 
D'altro canto King (punto, questo, che lo separa dall'adattamento cinematografico di Cronenberg) accetta che tutto faccia parte del gioco: la spiritualità si lega all'inspiegabile, al sovrannaturale, a qualunque indizio che ci dia evidenza di una dimensione superiore, illusorio o meno, purché vincoli il pensiero umano all'eterno antagonismo tra Bene e Male. Non la religione dogmatica ma la spiritualità: King riflette in termini laici delle domande supreme su cui tutti riflettiamo durante la vita, senza mai trovare risposta assoluta.

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La storia procede con Johnny che accetta di mettere il suo “dono” al servizio della comunità (la stessa comunità che lo opprime e lo rifiuta) per scovare il serial killer e in alcuni altri episodi minori. Cercando disperatamente di riprendere le fila della propria vita, cambia casa e cerca di tornare al suo vecchio mestiere di insegnante e di riallacciare i rapporti con la sua ex, ora sposata. Invano, tenta di conciliare l'inconciliabile, ciò che la rabbia e il rimpianto dividono. Finché giunge la sua "chiamata", il sacrificio supremo, e Johnny (come Cristo, appunto) si fa carico della salvezza dell'intera umanità a sue spese.
In questa parte King rispolvera una delle più classiche domande del filone fantascientifico (almeno quello sui viaggi temporali): se potessi tornare indietro ai tempi di Hitler, lo uccideresti? Anche a costo della vita? Ovvero sarebbe giusto cambiare la storia, salvando vite umane, avendone l'occasione? King ritornerà in modo ancora più esplicito su questa tematica nella saga della Torre Nera e in 21/11/63 (incentrato su un viaggio nel tempo per impedire l'omicidio di Kennedy).
Le speculazioni su questa possibilità sono abbastanza semplici e dirette (nel libro come nel film), ma l'aspetto più interessante è la messa in discussione della validità del punto di vista di Johnny. Il suo potere e il concetto di destino e predeterminazione sono al centro di un dubbio sostanziale: se Stillson non fosse esistito, Johnny avrebbe avuto lo stesso quel potere? È stato messo sulla via appositamente per fermare Stillson? E che dire dell'ovvia possibilità che Johnny sia solo la vittima di allucinazioni dovute al trauma subito e ai farmaci?
Il senso complessivo dell'opera è anche questo: mettere in dubbio il nostro punto di vista (di lettori, di esseri umani), persino nei confronti di ciò che diamo per assodato. D'altra parte non siamo nuovi a questo genere di dubbi esistenziali, su cui si basa gran parte della fantascienza di Philip K. Dick e alla Philip K. Dick. E su questo aspetto anche Cronenberg ci sa fare, per quanto il film La zona morta sia tra i più soft e commercialmente appetibili dell'intera sua filmografia.
La cosa curiosa è che La zona morta è anche uno dei libri di King più tranquilli, lineari e assimilabili senza sforzo per qualunque tipo di pubblico. Non solo perché la scrittura ha una delicatezza mai vista prima e non calca la mano su nulla (non è un romanzo di fantascienza anche se ne ha alcuni elementi, non è un horror anche se ne ha alcuni elementi, non è un thriller anche se ne ha alcuni elementi). Ma anche perché gli elementi del romanzo (i luoghi, i protagonisti) hanno una natura simbolica atta a rappresentare un'universalità che li rende facilmente traslabili in qualsiasi contesto o cultura (una cittadina qualunque, un Johnny Smith qualunque – un nome comune in America quanto Mario Rossi in Italia). È insomma una grande riflessione sulla condizione umana, sul destino, sulla labilità dei confini.



Retrospettiva King:

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